Per descrivere la vita, gli amori, i sentimenti e i tormenti di Francis Bacon basterebbe semplicemente riprendere una sua frase esplicativa il senso profondo, drammatico e viscerale dei suoi quadri : «quando dipingi qualcuno, sai che naturalmente stai tentando di avvicinarti non solo alla sua apparenza ma anche al modo in cui questo qualcuno ti ha toccato».
La sua opera, o la maggior parte di essa, non può che lasciare sbigottiti, estraniati, turbati e infastiditi. I suoi quadri, come si vede in queste foto che mi ritraggono con alcuni di essi, sono caratterizzati da corpi deformi, i cui strati di pelle e di vestiti sembrano riempiti più da sostanze liquide che solide, e a cui manca una struttura ossea capace di reggere il corpo stesso, il peso dell’esistenza. Ma non solo. I volti dei suoi quadri, le volte in cui sono disegnati o abbozzati, non sembrano volti, ma solo estremità difformi, grottesche, impossibili da identificare, riconoscere e delineare ma che proprio per tale ragione, è altrettanto impossibile che lascino l'osservatore totalmente indifferente.
Uno dei suoi quadri - "Donna che versa una ciotola d’acqua e bambino paralitico che cammina a quattro zampe" - che ho avuto modo di vedere ad Amsterdam, racconta bene di questi corpi e di questi volti. Essi infatti, in questo quadro, non esistono per come siamo abituati a concepirli, immaginarli, vederli e toccarli. Sembrano agonizzanti, in-naturali, sull'orlo della disperazione.
A colpirmi primariamente è la distanza tra l'uno e l'altro, quasi a raccontare la paura del contatto, la paura di una madre di non poter far fronte alla pulsionalità del bambino (ai suoi bisogni violenti e primitivi) a cui lui, vista quella distanza, non può che soccombere, non può che sentirsene sopraffatto.
Mi viene in mente la mamma di un ragazzo preadolescente che seguivo; le bugie che lei gli raccontava per farlo "staccare dalla playstation" «sono entrati i ladri in casa e hanno rubato la tua playstation» come conseguenza della sua paura di non sapere confrontarsi e avvicinarsi ai sentimenti del figlio, la cui natura sarebbe stata capace di sradicare ogni certezza, la struttura identitaria della madre. Quel ladro allora, tanto per lei quanto per il ragazzo, è la distanza necessarie per riuscire a parlarsi, la soluzione migliore, l'"oggetto" comune, nonché il rifugio su cui scaricare le proprie sofferenze, le proprie difficoltà , il proprio odio, la propria rabbia, le proprie paure, evitando ripercussioni, conseguenze drammatiche ed ogni sorta di idiosincrasia.
L'altro quadro invece - visto a Vienna al museo Albertina intitolato "personaggio seduto" - non può non fare pensare al valore che ognuno ha di sé stesso, dato dalle relazioni con "gli altri significativi" e alla base di cosa essi siano capaci di rispecchiare, di rimandare al bambino; il gusto di vivere, amare, imparare e crescere dipendono dal desidero di questi altri significativi.
L'esperienza di essere desiderati, alle fondamenta della capacità di percepirsi non più come frammentati e scoordinati ma come corpi "interi", in questo corpo, in questo viso, in questo uomo, sembra difettare, sembra restituire qualcosa di terrifico, qualcosa che ha scosso i suoi occhi, la modalità con cui egli vive la sua corporeità e conseguentemente tutto il suo mondo interno, la sua autostima, il suo psichismo.
Il rispecchiamento è fallito. Il rispecchiamento non c'è stato.
Tuttavia dallo sfondo scuro delle tele, a volte, paiono accendersi dei colori forti e caldi che fanno pensare che oltre al dolore e alla pulsione di morte, ci sia una pulsione che possa restituire sprazzi di vita, il sentimento di esistenza.
BIBLIOGRAFIA
Galimberti U., (2007) Psicologia, Garzanti, Milano
Laplanche e Pontalis, (1967) Enciclopedia della psicoanalisi, vol. II, Laterza, 2010
Mangini E., Lezioni sul pensiero freudiano, Milano, Edizioni universitarie di lettere economia diritto, 2001
Mangini E., Lezioni sul pensiero post-freudiano, Milano, Edizioni universitarie di lettere economia diritto, 2003