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"Il farmacista" e le terapie psicologiche


La nuova canzone di Max Gazzè mi piace. È orecchiabile, spiritosa e coinvolgente. Come però succede in altre sue canzoni, quelle parole sembrano parlare anche d'altro.


Questa canzone, "Il farmacista", dal mio punto di vista, sembra cogliere uno di quei aspetti che purtroppo contagia oramai sempre più massicciamente tutta la nostra società: abbiamo bisogno di soluzioni rapide, risposte efficaci, tali da eludere i conflitti che gravano sulle nostre anime, sulle nostre coscienze.


A partire da quel "si può fare", riferimento al film "Frankenstein Junior", Gazzè sembra proprio ironizzare su una società oramai incapace di saper tollerare la frustrazione, il peso del dolore, della sofferenza, della paura, della difficoltà d'assumersi le proprie responsabilità. Abbiamo tutti bisogno di un fantomatico "farmacista" che ci dia illusoriamente soluzioni senza controindicazioni, senza alcun prezzo, di facile comprensione e utilizzo: "per un tormento che attanaglia, debole o magagna e qualsivoglia imperfezione, per i troppi tuoi salti d'umore", un "farmacista" che, in due e quattr’otto, capisca chi siamo e cosa vogliamo. Un "farmacista" che ci risparmi sedute psicoterapeutiche troppo impegnative e dispendiose economicamente e sopratutto emotivamente.


Se da una parte ironizza sui facili "creduloni", o meglio su quelle persone che pur di stare bene nell'immediato accetterebbero la prima scorciatoia, dall'altra sembra anche "beffarsi" di tutte quei professionisti che dalla loro scrivania promettono e garantiscono onnipotentemente una qualsivoglia risposta ad un problema, alle sofferenze più disparate delle persone, assomigliando quasi a dei maghi - o meglio a dei "scienziati pazzi"alla Frankenstein Junior - capaci, come nei migliori stereotipi sui psicologi, di entrare nella mente e "aggiustarla" su misura, in un certo lasso di tempo e con poche e semplici regole, uguali per tutti, applicabili in ogni e medesimo caso, persona ecc.


Tante volte però il dolore, quello di cui ci si vergogna davvero e che difficilmente si riesce a pronunciare a parole, è capace di muovere le persone senza che queste ne se rendano conto in maniera consapevole. <Il dolore è ancor più dolore se tace> scrive a tal proposito Giovanni Pascoli.

Pensare allora che possa essere curato, come se fosse un mal di schiena, credo sia da irresponsabili oltre che da ingenui.


La possibilità di "venire a capo" dei propri conflitti non può allora non passare dal dialogo con un professionista capace di restituire comprensibilità e giustizia alla sofferenza, capace di scorgere il valore trasformativo che tiene in sé.

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