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Tesi di specializzazione in psicoterapia

Quello che c'è qui dentro, dentro queste parole e oltre queste parole, è la storia di un ragazzo, uno come tanti, uno come un altro, uno a cui ho scelto di dare il nome di Alfonso come il protagonista delle 391 pagine del romanzo di Italo Svevo - Una vita - il quale per tutta la sua vita s'è visto sempre come quello sbagliato, quello incapace, quello inetto.


Quello che le parole di questa tesi spero possano descrivere più di ogni altra cosa è la fatica che son costate, la fatica che hanno fatto per farsi, dove potevano, pensiero, spazio di comprensione e accoglienza. Per scriverle, così come sono, ho dovuto prima studiare psicologia. Ho dovuto cioè apprendere l’epoca storica in cui nascevano i primi concetti, teorie, formule, correnti di pensiero circa la sofferenza mentale. Mi è così stato insegnato che esistono gradienti e quantità precise di dolore, di pazzia, di paranoia, di depressione, di ansia, di solitudine, di maniacalità. L’università mi ha insegnato che il dolore, in tutte le sue più complesse sfaccettature, può essere combattuto con tecniche di precisissima scientificità, con parole che come la migliore delle magie - alla “apriti sesamo” - avrebbero portato ai risultati che ci si attendeva, che si erano riusciti a contrattare durante la “consulenza” con la persona sofferente.


Poi i tirocini m’hanno insegnato la disparità esistente tra questa tipo di psicologia e quella che è a tutti gli effetti la razza umana, la complessità visibile e invisibile dietro le faccende umane, lo scarto tra chi soffre e chi dovrebbe occuparsi di questi, il divario tra chi si preoccupa di “arrivare a fine mese” e chi sta lentamente perdendo l’evidenza delle cose e delle persone che ha intorno a sé.


Poi ho capito che le teorie insegnate all’università di psicologia servivano solo per farmi provare meno paura di fronte a chi mi sta parlando, di fronte a chi, come me, s’è trovato a sentirsi inetto, “una delusione per tutti”, “un pò matto”, “quello strano”, quello che “non capisce niente”, quello che “speriamo trovi un lavoro almeno” quello che la psicologia dell’università, non sapendo in quale cluster diagnostico mettere, lo inserisce in quello che più si avvicina alle varie tipologie di “malattie mentali” eludendo e semplificando la complessità, la profondità oceanica che quel “malato mentale” intransigentemente e commoventemente porta con sé.


Quello che le parole di questa tesi spero possano descrivere è proprio questo, l’irriducibilità della complessità, della fatica che costa - oggi più del passato - comprendere un modo diverso di stare al mondo e <staccarsi da terra e alzarsi in volo come voialtri stare su un piede solo>.


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