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Question #1: Cosa ne pensi dell'uso dei psicofarmaci? Li sconsigli? E quando sono inevitabili?

Aggiornamento: 1 ago 2020

I farmaci servono laddove ci sia una terapia psicoterapeutica in grado di smuovere, d’arrivare nei punti ciechi della terapia farmacologica. Se cosi non fosse essi, i farmaci, sarebbero solo (1) un modo di far tacere le incompetenze degli psichiatri, degli psicologi, degli psicoterapeuti, degli educatori, (2) un assassinio della persona che sente sì modificato il  proprio comportamento senza però aver modificato d’un grammo i processi mentali, riguardanti cioè il pensiero cioè tutto quello che viene prima del comportamento manifesto. Una persona che vuole suicidarsi non smette di pensare al suicidio se gli prescrivi i soli farmaci. La mente dell’anoressica rimane anoressica anche se gli prescrivi i farmaci, anche se inibisci la possibilità di far a meno di cibo. La mente, coi farmaci, rimane quella che è senza che vi sia nessun processo di elaborazione, di comprensione del dolore. 

Nella comunità in cui ho fatto l‘educatore, ad esempio, c’è un ragazzino di appena 11 anni che prende una quantità di psicofarmaci che io personalmente ritengo esagerata e inopportuna. A tale pensiero se ne aggiunge un’altro ancor più grave: la psicoterapeuta che segue il ragazzo ha ritenuto opportuno sospendere la psicoterapia in quanto secondo lei “non è ancora pronto”. Tuttavia il ragazzo undicenne, con cui io ho modo di stare diverso tempo e che non ha mai faticato a mostrarmi la sua rabbia cosi come le sue competenze, cosi come le sue parti funzionali e quelle meno sane, comincia a riporre la sua fiducia nei soli farmaci (dipendenza) e non nelle persone compreso la psicoterapeuta che non diede importanza al fatto che il ragazzo, poco prima della fine di una seduta, le avesse scritto la parola Mamma (indicante la voglia di essere accolto, amato, difeso, solo) malgrado non fosse italiano e sopratutto malgrado il suo analfabetismo totale.

La psicoterapeuta non riuscendo a farsi carico delle angosce d’abbandono di questo piccolo essere si è quindi affidata alla sola terapia farmacologica: più facile, più economica, sostitutiva delle sue incapacità di lavorare con quei temi primitivi quali la paura, la frammentazione, la rabbia che il ragazzo le portava.  

I farmaci, in fine, servono necessariamente quando la persona non riesce più ad essere dalla propria parte e soprattutto agli psicoterapeuti che vogliono dar senso al vissuto dei pazienti più gravi.

 



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