Alleanza
- Aldo Monaco
- 8 mar 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 1 ago 2020

L'alleanza terapeutica potrebbe essere considerata il punto cardine - la leva di Archimede - necessario per poter intraprendere un qualsiasi genere di percorso legato alla sofferenza mentale. Se da una parte ciò può essere vero, dall'altra essa non riesce a soddisfare gli obiettivi a cui protendono lo psicologo e la persona sofferente. Molti infatti sostengono che se c'è da subito una "buona alleanza terapeutica" gran parte del lavoro sarà poi in discesa. Se ciò può essere vero per alcuni, per altri invece non può essere cosi. Non sempre infatti una "alleanza positiva" è sinonimo di un "buon lavoro" cosi come non è vero che una "alleanza negativa" sia sinonimo di un lavoro insufficiente e insoddisfacente. Molte volte un'alleanza apparentemente positiva può essere la conseguenza di una idealizzazione che tende a nascondere la sfiducia nell'altro (nel terapeuta) e l'uso che questi potrebbe fare delle emozioni legate al proprio dolore o alla vergogna: quando cioè si è "preda" degli sguardi e giudizi altri. Altre volte invece una alleanza negativa è la conseguenza di un passato che occupa e condiziona tutte le relazioni presenti e future e che, a dispetto di ciò, per ogni psicologo, sono il materiale più "pregiato" su cui poter lavorare e costruire una relazione/alleanza terapeutica che per la persona, forse per prima volta, si spera essa essere diversa e fondata sulla possibilità di essere e di dire quello che si vuole.
L'alleanza terapeutica, così vista, da una parte racchiude l'insieme di norme su ciò che regola il rapporto cliente-professionista (gli accordi riguardanti i giorni e gli orari, le disdette e i pagamenti degli incontri, gli obiettivi su cui lavorare); dall'altra pero, come detto, racchiude: (a) la complessità che si cela dietro tutte le relazioni umane; (b) il compito dello psicologo di avvicinare il più possibile la persona a capire il senso delle relazioni che l'han portata a ripetere relazioni ritenute insoddisfacenti; (c) fare in modo che l'alleanza venutasi a creare diventi una grande "chance" trasformativa di tutti quegli elementi incomprensibili/indecifrabili che hanno costernato il vissuto della persona; (d) la possibilità di poter capire (non modificare come spesso si pensa) il proprio passato(es. eventi traumatici), i propri genitori, chi ci ha fatto bene e male, la rabbia e il dolore provati o tanto spesso subiti.
Riporto infine, uno stralcio di alleanza "in status nascendi".
Ha aperto la porta quando il signore col maglioncino a scacchi le ha chiesto di entrare e accomodarsi dove più gradiva. Allora lei ha preso la sedia che si trovava al centro della scrivania e l’ha spostata verso destra dove il display del computer dell’uomo l’avrebbe resa meno scrutabile. Lei indossava dei vestiti che l’uomo non è riuscito a capire come erano indossati dacché sembravano confondersi coi suoi capelli nerissimi che sembravano non avere una fine ma sopratutto una demarcazione dai vestiti “total black”.
Il signore - solo dopo qualche sorriso - si è presentato come Giovanni e come uno psicologo per adolescenti che si trovano in un periodo di stallo nella propria vita e che richiedono una qualche forma d’aiuto. Mentre però pensava e diceva queste parole, si è accorto che gli occhi della ragazza apparivano bagnati, come se avesse pianto. Dopo qualche secondo di rispettoso silenzio quindi le ha chiesto che nome avesse e come era giunta fino a lui.
Monica - era questo il suo nome - alzando per la prima volta i suoi occhioni - anch’essi neri - non ha esitato a rispondere, salvo poi scoppiare a piangere e riprendere un pianto che probabilmente aveva cominciato qualche minuto prima dell’ingresso nella stanza.
Con il rumore delle lacrime ha poi cominciato a sussurrare che non le andava di parlare ne di stare di fronte a quello sconosciuto che col suo silenzio risultava poco rassicurante e poco comprensivo.
Prendendosi le maniche della felpa per nascondere il viso, le lacrime, la voce e probabilmente la sua stessa presenza - a dispetto di quanto detto qualche secondo prima - ha poi cominciato a singhiozzare che non voleva ne quell'incontro e ne quel pianto che s’andava ad aggiungere a tutti gli altri che, da qualche tempo, la condannarono a un incontrollabile tristezza.
Allora precipitosamente ha domandato:”Come si fa a vivere quando l’unico pensiero, nonché l’ultimo che hai prima di dormire, è legato ad una tristezza che mutila ogni motivazione e desiderio?”
Giovanni quindi le ha risposto: “Come puoi chiedermi questo? Come pensi che possa risponderti se a malapena conosco il tuo nome?”
Lei allora ha riabbassato la testa iniziando a ripetersi a bassa voce che quell'uomo aveva ragione e che era troppo difficile darsi dei tempi di riflessione verso se stessi quando c’è tutto il mondo che raglia un mucchio di cose che fanno solo spavento, quando c'è un macello di cose che speri solamente finiscano il prima possibile senza ingombranti ed ulteriori fastidi.
“L’altra sera dovevo andare ad un compleanno di 18 anni di una mia amica che, prima, faceva la festa a casa e dopo in una discoteca a ballare tutta la notte…! Io però non volevo fare un cazzo…non m’andava di condividere una felicità che non sentivo e ne l’odore di quelle persone che già fatico a sopportare in classe …volevo stare nella mia camera ad ascoltare Amy Winehouse e i Nirvana senza scontare una pena che vivo da quando sono nata e da quando non mi fa più paura il dolore, la morte e questo schifo di persone…!! Alla festa però non potevo non andare anche perché era una promessa che avevo fatto alla mia amica quasi un anno fa. Quindi sono andata a casa sua - dove stavano pure i genitori - e in un certo senso son stata bene. Quando però si è deciso di andare in discoteca ho chiesto alla madre della festeggiata se potevo rimanere da loro senza tornare a casa mia… per far si che mia madre e mio padre, pensando che fossi andata in discoteca, non mi avrebbero chiesto del perché io non ci volessi andare….alla fine, mentre tutti gli altri sono andati a ballare, io son rimasta sul divano con la madre e il padre della festeggiata con cui ho chiacchierato un po’ finché non sono andati a dormire lasciandomi una coperta che mi è servita per riscaldarmi... senza però riuscire a chiudere occhio.
È li, in quel silenzio che ha svuotato le stanze della festa di poco fa, che ho pensato che avevo bisogno di farmi aiutare. È li, mentre mi stringevo per riscaldarmi con quella coperta, che ho immaginato che i tagli sulle mie gambe, che il cibo buttato di nascosto, che l’aver rinunciato alla danza e ad altre cose ancora, avevano un comun denomitaore: la fatica di crescere, la paura di combattere, la necessità di sentirsi importanti, il coraggio di accettarsi per quello che si è senza soffrire per quello che non si potrà essere. È li, mentre mi fischiavano ancora le orecchie, che ho pianto il male che non riesco a smettere di farmi e di subire ogni qualvolta mi denigrano in classe mentre cerco di essere semplicemente me stessa senza nascondermi da chi fatico a sopportare e da chi gode di tutto il male che può.”
“Ti ringrazio Monica di quanto sei riuscita a dirmi…davvero! La fiducia che mi concedi è un lavoro di scoperta che ci vede coinvolti nello stesso modo. La fiducia che mi mostri è lo sforzo che servirà per poter sempre essere dalla tua parte tutte le volte che aprirai quella porta e siederai di fronte a me, di fronte alla qualsiasi cosa che uscirà da te: pezzi, dentriti diventati galassie, lacrime, ricordi, lividi diventati cicatrici, emozioni, turbamenti, parole, graffi, sensazioni…Vita."
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