ZonaFilm: Class Enemy
- Aldo Monaco
- 13 mar 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 31 mag 2020
Regista: Rok Bicek
Anno: 2013
Film sloveno con ampi riferimenti alla letteratura tedesca e sulla falsa riga di altri film come “...e ora parliamo di Kevin” e del più famoso “Elephant” di gus Van Sant.
Tema centrale del lungometraggio del regista Rok Bicek è quello dell’adolescenza e delle sue innumerevoli implicazioni - visibili e invisibili. Delle sue complicazioni e difficoltà.
La storia prende l'avvio dall’arrivo di un nuovo professore di tedesco, tale Robert, in una classe liceale che potrebbe essere quella di una qualunque altra scuola europea o americana. Tale professore va a sostituire l’insegnante a cui i ragazzi e le ragazze sembrano oramai essersi abituati, quasi assuefatti. Essa infatti vuole bene ad ognuno di loro ed ha un buon rapporto con ognuno di loro ma al contempo non sembra più capace di capire - per via della stessa assuefazione a cui son giunti i suoi allievi - che la loro preparazione è molto bassa e dunque insufficiente.
Il nuovo arrivato dunque agli occhi degli studenti sembra poter rovinare e minacciare quella relazione statica a cui tutti - insegnante, allievi e preside inclusa - si aggrappano e s’affidano.
Ecco che allora si assiste al più tipico dei casi di "complesso edipico" in cui vi è una lotta e una contrapposizione tra ciò che che è capace di soddisfare ancora i bisogni più primitivi, fusionali e regressivi e quelli che l'adolescenza fa trasparire in ogni modo: dallo sviluppo mentale allo sviluppo sessuale e fisico. Da una parte c'è la professoressa che difende e coccola i propri ragazzi - come farebbe una madre col le innumerevoli avversità a cui il figlio va incontro - e dall'altra il professore nuovo che brutalmente si erige come primo "terzo" a cui si affaccia l'intero gruppo classe e che, nell'immaginario edipico, rappresenta la prima vera rottura del legame madre-figlio o professoressa-alunni.
Da una parte quindi incombe lui, con la realtà e tutte le sue pretese, esigenze, imposizioni sociali annesse. Dall’altra però incombono le esigenze più interne e viscerali: le pulsioni e i desideri emergenti. Si entra cosi, per l'appunto, nell'adolescenza.
Ecco allora che per affrontare questo tema il regista si serve di due eventi luttuosi - il suicidio di una compagna di classe e la morte della madre di un ragazzo - per descrivere altri generi di lutti e separazioni che normalmente assediano, complicano e incidono sull'adolescenza.
L'adolescenza infatti è caratterizzata da elementi di perdita paragonabili a dei veri e propri lutti. Tra questi vi sono quelli della perdita del corpo infantile a cui seguono cambiamenti fisici che gli stessi ragazzi sembrano assistere in maniera impotente e meravigliata; il lutto per la perdita del ruolo e dell’identità infantile ossia di quella cosiddetta ‘beata ingenuità’ che contraddistingueva le esperienze vissute nell’infanzia; il lutto per la perdita, da un punto di vista psicologico, dell’immagine di quei genitori dell’infanzia, così protettivi e ai quali si era legati da amore totale e pieno di gratitudine (vedi la mamma-professoressa).
Il suicidio della ragazza, in questo senso, è come se fosse il ripudio all’avere un corpo sessuato, identificato cioè con un genere maschile o, come in questo caso, femminile.
Il suo suicidio sembra la dimostrazione della fatica ad accettare di lasciare un corpo bambino, non avente nessun pudore, per fa spazio a una sessualità matura in cui vi sia la capacità di sopportare l’angoscia che deriva dall’autonomia di questo, dal bisogno di non essere più “curato”, pulito, abbracciato e protetto dai genitori.
La scena in cui il professore la ascolta al piano sembra farci capire come ella non sia capace di sopportare le conseguenze di questo corpo che sta cambiando, i desideri che da esso arrivano. L’adolescenza sembra viverla come una richiesta di rinuncia, come un avviso di paura. Non a caso questa scena viene interpretata , o meglio vissuta, come una violenza sessuale del professore, sebbene non sia cosi. La ragazza, per mezzo del professore, ossia del primo ”terzo”, rivive una serie si paure che la sua fragile strutturazione difensiva non è capace di reggere e di zittire e che come conseguenza ha quella di travolgerla, di annichilirla.
Ciò che succede dopo il suicidio sembra unire tutta la classe contro il professore, il capro espiatorio delle loro paure, delle difficoltà che comporta dover aderire ad un sistema societario e scolastico che impone di dover essere efficienti, capaci di rispondere alle esigenze che si impongono. Il riferimento naturalmente va alle società primitive di cui ha parlato Freud in "Totem e Tabù" e in cui tutti i fratelli cacciati dal padre - per il il possesso esclusivo della madre - si riunirono per ucciderlo e porre cosi fine alla sua orda.
Tuttavia al di là del principio di piacere infatti vi il principio di realtà, il dover cioè fare i conti con una pulsionalità e un'onnipotenza che devono poter essere regolate da divieti che prendono forma di tabù. I ragazzi cosi si trovano a doversi confrontare con quel che si è perso realmente - una amica - ma anche ciò che si sta perdendo e di cui si fatica ad accettare le più ovvie conseguenze. La lotta col professore/padre - accusato di non capire il dolore che stanno provando per la perdita della amica che sottende tutte le loro paure abbandoniche e la loro perdita di riferimenti - seppur avente a che fare col voler rimanere in un costante principio di piacere che non conosce mai sazietà e appagamento è pure il tassello necessario per emanciparsi, per portarsi dentro di sé, il senso del limite ma anche un ideale a cui protendere, un super-io nato come conseguenza delle identificazioni con gli aspetti protettivi che han saputo garantire i genitori/professore.
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