La tempesta covid-19 sull'umanità
- Aldo Monaco
- 25 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 ago 2020

Ciò che è successo in questi primi mesi del 2020 sembra destinato ad aver conseguenze, negative o meno, non solo fino al termine di questa emergenza, a noi prima sconosciuta, ma anche per i mesi, gli anni a venire. Ciò è stato confermato e ribadito da tutti gli esperti dei settori economici, politici, sanitari, sociali e non ultimi della salute mentale.
Tuttavia, se per certi versi, è possibile avere un prospetto di ciò che riguarda ad esempio un'eventuale ripresa/crescita economica, non è altrettanto ipotizzabile dedurlo sul piano prettamente psicologico. Infatti il primo aspetto centrale della pandemia che ci ha visti coinvolti è la sua stessa natura. Essa infatti nell'uomo non genera paura ma angoscia. La differenza seppur possa apparire sottile e labile esiste ed è fondamentale. La prima infatti, quando è avvertita - e non è connotata patologicamente - è spesso accompagnata da una reazione organica di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo che prepara l'organismo alla situazione emergenziale. La paura, richiedendo un oggetto di cui si ha timore e su cui "investire", ci permette allora di organizzare un piano per superare al meglio, ad esempio, la "discussione davanti a tante persone" o "l'esame universitario" o più in generale le difficoltà che connotano quotidianamente e similmente le vite di ognuno.
Di diverso rango invece è la cosiddetta angoscia. Il filosofo tedesco Martin Heiddeger, a riguardo scrive che <noi abbiamo paura sempre di questo o di quell'ente determinato [...]. La paura di...è sempre anche paura di qualcosa di determinato. Nell'angoscia, noi diciamo, "uno è spaesato". Ma dinanzi a che cosa v'è lo spaesamento? Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell'insieme> (1929, pag 67-68). L'angoscia, come è facile intuire, non ha oggetto da cui allontanarsi o spaventarsi, come succede con la paura o più specificatamente, nelle sue forme più patologiche, con le fobie.
L'angoscia sembra proprio quello stato mentale che gli italiani, e tutta la popolazione mondiale, si son trovati a sentire prepotentemente, concretamente e razionalmente nella propria quotidianità pur non avendo prove, evidenze, fatti su cui basarsi. Il nemico invisibile - il covid-19 - in minore o maggiore quantità, ha così costretto tutti noi a fare i conti con cosa sia il malessere psicologico, cosa siano quei piccoli germi di sofferenza mentale che soggiaciono silenziosamente in ognuno di noi. La salute mentale infatti, ricorda Freud, è poggiata lungo un'asse i cui vertici sono, da una parte, la normalità e dall'altra la patologia e la cui differenza non è tanto di ordine qualitativo quanto di ordine quantitativo, ragione per cui nessuno di noi è immune dallo sperimentare dei conflitti inconsci.
Il nemico invisibile ha cosi fatto emergere molti di quei complessi irrisolti che riposavano quietamente e indisturbatamente nell'inconscio. Il nemico invisibile ha fatto riaffiorare tutto quello che la nostra routine - figli, fidanzate/i, lavoro, sport, amici - non ci faceva più pensare o riconoscere. Così abbiamo fatto forzatamente i conti con le riacutizzazioni di vecchie questioni assopite, vecchi dolori e vecchie ferite. Abbiamo così cominciato a fare i conti, in virtù di quella angoscia senza nome alcuno, con la drammaticità della morte - reale o meno - delle persone più care ma anche, e più di tutto, con quella propria. L'angoscia dell'uomo è tale proprio perché è l'unico essere vivente a sapere di dover morire.
I dati del Viminale, quelli che parlano di più di 150 mila violazioni delle restrizioni dei vari decreti ministeriali, sembrano proprio dire quanto fondamentale siano le nostre routine, le nostre consuetudini, le nostre usanze e di quanto difficile sia abituarsi ad una realtà sentita di giorno in giorno e ogni giorno, in tutti i telegiornali, in tutte le parole degli amici e dei parenti come minacciosa, spaventosa, preoccupante, ingestibile e fuori controllo.
Contro questa sensazione di non essere artefici del proprio destino quei motti e quelle frasi ripetute come fossero dei mantra, delle litanie - "andrà tutto bene", "uniti ce la faremo" - sembrano proprio farci ritornare ad una condizione di "infantile passività" in cui la nostra vita, in grand parte, dipendeva da come gli altri avevano premura e cura di noi e in cui le madri sapevano quanto fondamentali e importanti fossero le routine se non altro per assicurarci un sentimento di continuità del proprio sé, nonché di esistenza che il mondo fosse ancora sotto i nostri piedi e che non smette di cessare, per permettere al bambino anzitutto di sopravvivere e poi di dotarlo di quei mezzi che gli saranno indispensabili, una volta adulto, per far fronte alla avversità con cui avrà a che fare.
Ciò che sembra assente - o semmai poco o mal integrato - nella strutturazione identitaria è un super-io che funga da super-visore e mediatore capace cioè di reggere alle pulsioni provenienti dell'inconscio e agli elementi di realtà a cui l'io si trova a dover dar conto senza farlo collassare, o meglio, angosciare troppo. Si potrebbe allora dire, in altro modo, che questo virus ha messo in crisi ciò che Alfred Bion chiama la "capacità negativa" di ognuno di noi, la capacità cioè di tollerabilità alla frustrazione che ognuno di noi dispone e fa ricorso nelle situazioni più stressanti, pericolose, di dubbio e incertezza. La corsa ai supermercati ad esempio sembra proprio dirci quanta fatica abbiamo fatto nel tollerare l'imprevedibilità, il susseguirsi degli eventi ogni volta sempre più negativi oltre la nostra soglia di tolleranza.
Il lavoro psicologico allora, vista questa emergenza, è pensato per aiutare tutte le fasce di persone: bambini e adolescenti, genitori, adulti e anziani. Tutte le perone che si son viste in una situazione di spaesamento e impotenza; tutti i bambini e adolescenti che si son sentiti privati delle loro tanto amate routine, delle loro importantissime quanto fondamentali relazioni amicali; tutte le persone che devono reinventarsi un nuovo modo di vivere e che temono non poter essere più uguale a quello che è stato; tutte le persone che purtroppo hanno fatto i conti con la morte di qualche parente o amico importante; tutte le mamme e papà che sentono di non reggere lo stress dato dall'organizzare di ora in ora le giornate dei propri figli; tutte le persone che purtroppo hanno perso il lavoro e faticano a gestire ciò che esso comporta; tutti quegli anziani che non solo si son sentiti esclusi e messi letteralmente da parte ma che han contratto il virus e han temuto di non farcela.
Comments